La Seconda Battaglia Difensiva del Don
La situazione della Pasubio subì un mutamento a partire dal 1° dicembre 1942, il giorno in cui un intero reggimento sovietico attaccò le posizioni tenute dal III/79°, poste tra la quota 144.6 e Krasnogorovka, e organizzate senza alcuna preparazione di artiglieria per sfruttare la sorpresa. Un attacco improvviso, fortunatamente respinto grazie alla tempestiva e decisa reazione dei soldati del battaglione ed ai provvidenziali interventi delle batterie del I gruppo dell’8° artiglieria.
Si può giustamente ritenere che questo attacco del 1° dicembre alla Pasubio costituisca il segno premonitore della grande offensiva sovietica sul Don, quella che la nostra storiografia chiama Seconda Battaglia Difensiva del Don e a cui invece gli storici sovietici danno il nome di Battaglia del Volga, probabilmente per indicare il limite da cui presero le mosse le Grandi Unità russe impegnate in questa battaglia. Conseguenza del fallito attacco nemico fu l’intensificarsi, non solo dei controlli delle zone antistanti i nostri capisaldi ma, anche e soprattutto, degli interventi delle artiglierie sulla quota 148.7, posta all’estremità nord del Cappello Frigio in mano nemica e quindi prevedibile base di partenza per ulteriori attacchi.
Il 2 dicembre 1942 lo Stavka, il Comando Supremo Sovietico, sentiti gli alti ufficiali che avevano effettuato le ricognizioni sui luoghi da esso indicati, approvava il piano offensivo contro la nostra 8a Armata. L’operazione prese il nome di Saturno e fu fissata per il 10 dicembre. Ma a causa della limitata capacità delle vie di comunicazione, della carenza di automezzi e della grave situazione determinata dall’offensiva tedesca su Stalingrado con lo sfondamento della difesa della 51a Armata, lo Stavka decise di rinviare al 16 dicembre l’operazione Saturno che, nel contempo, prese la denominazione di Piccolo Saturno.
L’attacco fu programmato su due direttrici con l’obiettivo di penetrare in profondità, circondare e annientare l’Arm.I.R. La tenaglia partiva ad ovest dalla testa di ponte di Osetrovka e ad est da Vešenskaja, la località posta sulla riva sinistra del Don, a cavaliere tra il limite destro del settore della nostra Sforzesca e quello iniziale della 3a Armata romena.
Lo Stavka dava così il via alla fase di logoramento, alle sue azioni preliminari che dureranno cinque giorni e precederanno quella sanguinosa di rottura. Si trattò di una attività che i sovietici svilupparono sul fronte delle Divisioni Ravenna, Cosseria e Pasubio.
La Ravenna venne attaccata dai fucilieri del 128° Reggimento, provenienti dalla testa di ponte di Osetrovka. Alcuni capisaldi avanzati furono persi ma ripresi grazie alla tenace resistenza dei fanti dei due reggimenti (37° e 38°) della Divisione, ai loro contrattacchi ed al concorso dato dal battaglione CC.NN. Leonessa. Gravi furono le perdite della Ravenna in questa fase di logoramento.
Anche la lotta nel settore della Cosseria, nei capisaldi dei due reggimenti di fanteria (89° e 90°) e sulle quote circostanti, fu molto aspra e cruenta.
L’11 dicembre, giorno d’inizio della fase di logoramento, la Pasubio subì l’attacco della 38a Divisione russa. Due suoi battaglioni investirono l’abitato di Ogolev, da cui l’attacco fu subito esteso a tutto il fronte dell’ansa tenuta dal I/79° agli ordini del Magg. Castelbarco, e ai numerosi capisaldi sparsi nell’ansa, alcuni indicati con i numeri 1 – 2 – 3, altri con le lettere Z – X – Y e altri ancora con i nomi mitologici.
Contro i difensori dell’abitato di Ogolev, al comando del giovane S.Ten. Frinolli, l’urto sovietico fu particolarmente cruento. I fanti di Frinolli, un pugno di uomini asserragliati nelle case, decisi a non cedere, inizialmente ressero l’urto ma poi, per i reiterati assalti del nemico e per il martellante fuoco delle sue artiglierie, dovettero inevitabilmente abbandonare Ogolev. Ma Ogolev, così come Verhnij Mamon nel settore della Ravenna, costituiva uno dei fulcri sul quale facevano leva i russi per scardinare l’intera difesa italiana e pertanto andava ripreso.
Toccò al Col. Mazzocchi, il Comandante del 79°, compiere con un proprio reparto il primo tentativo, purtroppo senza risultato. Il problema scottante passò al Gen. Boselli, il Comandante della Pasubio. Questi assegnò al 79° due battaglioni di CC.NN., il 63° del Gruppo Tagliamento ed il 6° del Gruppo Montebello, ambedue composti da uomini selezionati, abituati a compiere azioni ardite, combattimenti corpo a corpo. Furono i legionari della Montebello, inseriti nella lotta, sostenuti dal fuoco del I/8° agli ordini del Ten.Col. Paolo Rossi, a rioccupare l’abitato di Ogolev ormai distrutto e ridotto a macerie. All’alba del 13 dicembre le CC.NN. della Montebello vennero sostituite dai guastatori che indossavano camici bianchi mimetici e che procedettero subito alla distruzione dei lavori di rafforzamento compiuti dai russi.
Il giorno 15, l’ultimo della fase di logoramento, il caposaldo Z, il più avanzato dei capisaldi nell’ansa di Ogolev e quindi il più bersagliato dai russi, subiva un ulteriore attacco, ancora inutilmente.
Ma ancora più tormentato fu l’intero settore del III/79°, schierato tra l’abitato di Tereškovo e quello di Krasnogorovka. Del III/79° così scrive Luoni nel suo noto libro La Pasubio sul fronte russo: << Nel settore del III/79° il fuoco dei pezzi controcarro russi, che prendono d’infilata persino le feritoie dei mortai, provocano molte perdite. Gli ospedali da campo, in questi giorni, sono sommersi dall’afflusso dei feriti con le carni straziate dalle schegge, dalle pallottole e dal gelo. Ormai non c’è più posto ed i meno gravi vengono messi sulla paglia a terra in attesa di un ulteriore sgombero. Ovunque si levano lamenti e tutti i ricoverati hanno sempre bisogno di qualcosa. Chi non si lamenta potrebbe essere già morto. In molti casi vengono consegnati ai medici dei poveri giovani con delle terribili amputazioni provocate dalle bombe, con le carni bruciate e cauterizzate dalle schegge roventi che li hanno colpiti e che, talvolta, abbinano alle mutilazioni e alle ferite anche dei gravi congelamenti >>.
Nella notte sul 16 dicembre i sovietici completarono i preparativi per l’attacco finale, concentrando nelle fitte boscaglie della loro testa di ponte di Osetrovka, nell’ansa di Verhnij Mamon, truppe fresche addestrate ed equipaggiate a nuovo di tutto, ed armamenti, artiglierie e carri facendo poi affluire all’ultimo momento le fanterie su autocarri, tenendo conto che anche i carri più pesanti potevano transitare dal fiume solidamente gelato.
All’alba del 16 bocche da fuoco di ogni tipo davano inizio alla loro preparazione contro le posizioni tenute dal nostro II Corpo d’Armata (Divisioni Cosseria, Ravenna e 318° reggimento tedesco). Mancò invece la nostra contropreparazione.
Inizialmente i russi ebbero facilmente la meglio sulla serie di avamposti e di capisaldi a livello plotone. Raggiunti però i campi minati, costituiti davanti ai capisaldi della linea di resistenza, dovettero fermarsi, impossibilitati a proseguire. L’attacco principale che avrebbe dovuto portare, nel corso della giornata, allo sfondamento si rivelò più impegnativo del previsto e fu rimandato al giorno successivo quando sotto durissimi combattimenti tutto ciò che componeva il nostro II Corpo d’Armata fu distrutto.
Si cercò di ricostruire una nuova linea di resistenza con le truppe in ripiegamento ma il dilagare della massa corazzata russa, anche nel settore della Cosseria, e la profondità raggiunta dai carri russi rese impossibile questo tentativo.
Alle ore 6 del 16 dicembre, un intenso fuoco di preparazione condotto da mortai d’ogni tipo, nell’oscurità più fitta, con il Don avvolto in uno spesso strato di nebbia, svegliò di soprassalto l’intero settore della Pasubio, da Ogolev a Abrosimovo, a Monastyrščina. Si trattava della branca di sinistra della grande azione a tenaglia che, con quella di destra lanciata nell’ansa di Verhnij Mamon, tendeva ad accerchiare le forze italo-tedesche che si trovavano al suo interno.
Un attacco portato da almeno diciotto battaglioni della 38a Divisione Guardie russa e dal 35° Ftr., i cui segni premonitori erano stati ben avvertiti nei giorni precedenti nell’intensificarsi delle azioni di pattuglia, nel crescente brontolio dei motori oltre il Don, nelle realizzazioni di passaggi sul fiume, soprattutto in corrispondenza dell’ansa orientale del Cappello Frigio. Indizi non sottovalutati dal Comando della Pasubio, e sempre ostacolati, logorati e stroncati a mezzo dei reiterati interventi delle artiglierie dell’8° reggimento, anche se con risultati limitati.
Terminata la poderosa preparazione dei mortai, masse di attaccanti uscite improvvisamente dalla nebbia, avanzando con uomini come automi, con le gambe che affondavano nella neve fino alle ginocchia, a plotoni affiancati, puntarono ai reticolati dei capisaldi della Divisione. Un’azione di attacco iniziata con la eliminazione di gran parte degli osservatori di artiglieria proiettati in avanti sulla riva destra del Don, chiamati gli Arditi dell’artiglieria, volta all’acquisizione dei dati relativi al fuoco delle nostre artiglierie.
Tra le 9 e le 10, reparti sovietici irruppero come un compressore sull’abitato di Abrosimovo, dove stava abbarbicato il II/80° del Magg. Pacini. Il caposaldo, investito da tre lati, posto nella impossibilità di sostenere il potente urto nemico per la sua superiorità di uomini e di mezzi, venne prima accerchiato e poi decimato. Il Magg. Pacini, colpito a morte nel corso di un estremo contrassalto all’arma bianca, cadde lottando in mezzo ai suoi soldati. I resti del II/80° ripiegarono sul retro dello schieramento delle artiglierie del III/8° del Magg. Mattioli, posto lungo il costone della Balka Artykulnyj, trovandovi la salvezza ma ponendo gli artiglieri nelle condizioni di dover provvedere alla propria difesa vicina, intervenendo ad alzo zero sul fuoco micidiale di armi automatiche e mortai del nemico che tentava, mediante un’azione diretta, di neutralizzare l’azione delle batterie. Su questa posizione fanti e artiglieri rimasero fino all’ordine di ripiegamento sulla seconda posizione.
Nel frattempo i sovietici, superato lo scoglio di Abrosimovo, incominciarono a dilagare e puntarono alle quote 187.9 e 206,3 sulle quali si trovavano i fanti del III/80° del Magg. Campanella. La violenza dell’attacco costò al battaglione non poche dolorose perdite e, dopo una strenua resistenza, vi fu l’abbandono delle posizioni, reso però possibile ai soli superstiti.
Tre medaglie d’oro al valor militare verranno assegnate a valorosi ufficiali della Pasubio che in quegli aspri scontri, insieme ai loro uomini, non si arresero ma continuarono a combattere all’arma bianca, non avendo più munizioni, fino alla morte. Sono il Caporal Magg. Antonio Sciorilli, il Cap. Luigi Laviano ed il S.Ten. Pradis Pedaggi.
Anche i capisaldi del I/79°, organizzati nell’ansa del Cappello Frigio, in aperta campagna, con postazioni a cielo scoperto, cintati da reticolati con all’interno piazzole per le artiglierie, quella mattina del 16 dicembre, ad uno ad uno, incominciarono a subire l’urto sovietico. Il primo ad essere investito fu il caposaldo X, difeso dai guastatori fino a quando il suo abbandono divenne inevitabile. Seguì lo Z, il più avanzato, che fu abbandonato quando non fu più possibile difenderlo.
Poi fu la volta del caposaldo Venere, in cui si trovavano i soldati della 3a compagnia del Cap. Montano, raggiunto la sera precedente dal cappellano don Enelio Franzoni, intenzionato a celebrare la mattina del 16 la messa con i soldati del caposaldo. Durante la celebrazione irruppero i russi ed i superstiti dovettero abbandonare il caposaldo, ma don Franzoni volle restare, per assistere i feriti ed i moribondi. Catturato, poté tornare in Italia nel 1946, dopo più di tre anni di prigionia. Ha avuto la medaglia d’oro al valor militare << per essersi prodigato nel salvare la vita di tanti soldati >>.
Alla caduta del caposaldo Venere seguì quella di Olimpo, uno dei principali, posto sulla quota 198.7 e difeso dalla 1a compagnia del I/79°. La sua sorte sigillò quella di tutti gli altri capisaldi non ancora caduti.
Nella notte sul 17 dicembre, su ordine del Gen. Zingales, Comandante del XXXV Corpo d’Armata, veniva disposta l’occupazione della seconda linea, più arretrata, che si estendeva da Krasnogorovka alla quota 201.1. La occuparono i resti dei battaglioni del 79°, il battaglione ferrovieri, una compagnia di pontieri, il 525° fanteria tedesca ed i resti delle Legioni CC.NN. Tagliamento e Montebello.
Era questa una nuova linea, arretrata rispetto al Don di circa 5 km, più robusta ed economica ma priva di ricoveri, fatta di buche per uomini disseminate un po’ ovunque che il vento siberiano copriva. Ciò costrinse i difensori a pernottare all’addiaccio a –30 gradi in attesa di successivi attacchi. Organizzatore e animatore della nuova linea fu il Magg. Massa Gallucci, che sarebbe poi stato catturato dai russi durante il ripiegamento e trattenuto in prigionia fino al 1954.
L’attacco arrivò violento da parte di truppe sovietiche fresche che riuscirono ad occupare l’abitato di Krasnogorovka, penetrando oltre la linea sino a quota 156, a tergo del battaglione ferrovieri, ma fu subito ripresa grazie anche agli interventi della nostra aviazione. La seconda linea di difesa, soprattutto per l’ottimo schieramento delle artiglierie, resse per diversi giorni, fino all’ordine di ripiegamento generale, costringendo il nemico, duramente provato, a rallentare la sua pressione.
Perdurava intanto la resistenza del I/80° asserragliato in Monastyrščina.
Alle ore 12,30 del 19 dicembre il Gen. Zingales, Comandante del XXXV Corpo d’Armata, recatosi presso il Comando della Pasubio, comunicava l’ordine ricevuto del ripiegamento generale. Finiva la Seconda Battaglia Difensiva del Don costata alla Pasubio l’immenso sacrificio, tra morti, feriti e dispersi, di settemilacinquecento uomini dei dodicimilacinquecento che aveva alla data del 1° dicembre 1942. Durante il ripiegamento avrà un’ulteriore perdita approssimativa di milleduecento uomini.
L’ordine improvviso e inaspettato di ritirarsi dalla seconda linea, ripiegando per radunarsi nella zona di Arbusov e qui riorganizzarsi a caposaldo, segnò l’inizio della tragica ritirata della nostra 8a Armata e del simultaneo abbandono di una parte dei restanti pezzi di artiglieria, previa inutilizzazione per la penuria di carburante. Un ripiegamento generale dovuto all’aggravarsi della situazione, all’ulteriore flessione della linea tenuta dal XXIX Corpo d’Armata tedesco ed ai negativi avvenimenti verificatisi nel settore della 3a Armata romena.
L’itinerario da percorrere indicato dal Gen. Zingales era quello di Medovo – Malevanyj – Makarovskij con inizio del movimento sul far della sera. Nel frattempo a Getreide, sede dei Comandi del 79° e 80°, si cercava di ripristinare i collegamenti con il I/80° del quale, asserragliato in Monastyrščina, dal pomeriggio del 18 non si aveva alcuna notizia. Si procedette al concentramento delle salmerie, dei carriaggi, delle slitte e degli autocarri, in attesa dei reparti provenienti dalla seconda linea di difesa. Il tutto tra lo sferzare di un tormentante nevischio e su uno strato di neve gelata.
L’ordine di ripiegare arrivò al Magg. De Biase, a Monastyrščina, alle ore 14 del 19 dicembre. Glielo portò un suo giovane subalterno appena dimesso dall’ospedale da campo per congelamento alle mani. Quando giunse alla sua presenza, non potendo parlare a causa della mascella inchiodata dal gelo, con le mani che non gli ubbidivano più, fece un gesto, gli rovistarono nelle tasche, trovando l’ordine di ritirata dato del Gen. Boselli. Il Magg. De Biase riunì subito nel grande cortile del monastero il battaglione che da quattro giorni resisteva ai reiterati attacchi dei sovietici, parlò dell’ordine, quindi incominciò ad uscire da Monastyrščina, in piena notte, senza che i russi se ne accorgessero.
La fiumana di militari della Pasubio, come disposto dal Gen. Zingales, si mise in movimento da Getreide all’imbrunire, lasciandosi alle spalle le tetre torri dell’abitato e le croci in legno del piccolo cimitero di guerra. Si avviò con in testa gli undici pezzi di artiglieria disponibili del III/8° del Magg. Mattioli, i due da 75 della batteria controcarro e l’unico da 75/32, pronti ad intervenire in caso di bisogno, molto lentamente e silenziosamente, conscia di andare verso un destino ignoto, estenuata dal freddo e dalla fame.
Procedette in direzione di Malevanyj, distante circa 7 km, già sede del Comando della Pasubio, trovato in fiamme; quindi di Medovo, dove giunse verso le ore 18 e trovata anch’essa in fiamme. Ormai la fiumana muoveva con la sensazione di non sapere dove dirigersi. I soldati incominciarono ad alleggerirsi dell’elmetto e, cosa ancor più grave, dell’arma, per meglio sentirsi nell’affrontare le lunghe marce, non solo, ma iniziò a diffondersi la preoccupante notizia della presenza di carri armati russi, pronti a compiere profonde puntate sulle nostre colonne in ripiegamento. Quando la colonna giunse al bivio di Makarovskij trovò il I/80° del Magg. De Biase proveniente da Monastyrščina ed altri reparti italiani, che inglobò.
Fu nella piana di Makarovskij, a seguito di violento attacco russo, che la colonna, ingranditasi per il continuo ammassamento di uomini e macchine, si scompose in due tronconi. Uno, formato dall’80° fanteria, da aliquote del 79°, dai resti della Ravenna, dalla 298a Divisione tedesca del Gen. Von Scelinskij e dal 525° fanteria del Ten.Col. Neumann, prese la strada per Popovka, dando vita al Blocco Nord. L’altro troncone, composto dal Comando del XXXV Corpo d’Armata, di quanto restava del 79° fanteria e dell’8° artiglieria, circa duemila uomini, puntò su Šapilov; guidato dal Gen. Zingales attraverso piste secondarie, giunse poi a V.Makeevka con i resti del 6° bersaglieri e della Sforzesca, dove costituirà il Blocco Sud.
Il Blocco Nord giunse a Popovka alle ore 10 del 20 dicembre, dove raccolse altri elementi della Pasubio con il Comandante Gen. Boselli, la Torino con il Comandante Gen. Lerici, un nucleo della Celere, reparti di CC.NN. dei Gruppi Montebello e Tagliamento, elementi di fanteria, artiglieria e genio. Il complesso di truppe affluite nella zona di Popovka raggiunse la forza complessiva di trentamila uomini, di cui ventimila italiani e diecimila tedeschi, venendo subito a trovarsi circondata da forze corazzate sovietiche. La sortita da Popovka si compì alle 14 del 20 dicembre ed ebbe successo grazie soprattutto al gruppo corazzato Aufman.
Eliminate le resistenze nemiche, nel cuore della notte, lasciando isbe e macchine in fiamme, la marcia riprese in direzione di Pozdnjakovskij, che le truppe raggiunsero il giorno seguente, trovandovi ad attenderle carri armati russi con la loro fanteria dotata di mitragliatrici montate su veloci slitte. Nell’inevitabile scontro che ne seguì, i nostri lottando con la forza della disperazione riuscirono ad avere la meglio.
Superato lo scoglio di Pozdnjakovskij la colonna, muovendo su strade e piste ingorgate da carriaggi, da slitte e da automezzi inchiodati nella valle o capovolti, puntò su Arbusov, distante circa 25 km. Le poche slitte, stracariche di feriti e congelati, erano trainate da quadrupedi che crollavano sopraffatti dal freddo e dalla stanchezza.
Quando la colonna giunse alla periferia di Arbusov, un agglomerato di tuguri situato ai bordi di una palude gelata e circondata da ripide alture, si trovò la strada sbarrata dai russi. La lotta che ne seguì costò gravi perdite e durò per l’intera giornata del 22 dicembre, ma non impedì agli italiani di entrare nella conca di Arbusov, dove però vennero a trovarsi intrappolati allo scoperto, in pochi chilometri quadrati di steppa gelata. Fu l’inizio del loro calvario. In migliaia e migliaia rimasero sotto l’attacco dei carri armati russi, falciati dal tiro delle katiusce, costretti a sostenere furiosi scontri, con una temperatura che si era notevolmente abbassata e un vento gelido.
Il 23 dicembre, avendo saputo che la situazione non consentiva l’arrivo dei rinforzi germanici che erano stati promessi, venne decisa la sortita delle truppe da Arbusov e la prosecuzione del movimento verso ovest. Il combattimento per rompere la cerchia nemica fu intrapreso il 23 sera dal grosso delle forze diretto verso nord, dove i russi non se l’aspettavano, con l’intenzione di ripiegare poi verso ovest. Contemporaneamente alcune unità miste attaccarono frontalmente l’avversario per trarlo in inganno. La lotta fu quanto mai violenta e la forza della disperazione dava vigore a quei relitti umani che volevano uscire ad ogni costo dalla squallida vallata che era stata ormai battezzata con il nome di valle della morte.
Finalmente la colonna poté lasciare alle spalle Arbusov disseminata di cadaveri, dove rimanevano quindicimila uomini tra morti, feriti, congelati e dispersi. Gli uomini mossero con la neve che arrivava alle ginocchia, tormentati da uno spaventoso freddo che oscillava tra i 40° e i 50° sottozero e da una terribile fame, sostando brevemente presso qualche isba alla ricerca di qualcosa con cui sfamarsi. Arrivarono a Čertkovo la sera di Natale del 1942. Dei diecimila scampati alla valle della morte ben tremila furono quelli che nella lunga tappa non riuscirono a superare lo sforzo della marcia. A Čertkovo i rimanenti settemila trovarono unità italo-tedesche, circa mille uomini, ben forniti di magazzini, e poterono sistemarsi nelle case, conoscere un po’ di riposo, godersi un po’ di tepore, togliersi dal viso i profondi segni delle asprezze sofferte. Ma fu un rilassarsi di breve durata.
Parliamo ora del ripiegamento della colonna del Blocco Sud. Lasciatosi alle spalle l’abitato di Makarovskij, la colonna percorse circa 40 km attraverso zone dalla massiccia e minacciosa presenza del nemico e giunse a Šapilov dove, tagliato fuori dalla Pasubio con duecento uomini, trovò il Gen. Zingales, quindi il Gen. Gandini e il Col. Mazzocchi con quattrocento uomini, per la maggior parte del 79° reggimento.
Il Gen. Zingales, venuto a conoscenza che Šapilov era accerchiata, ne dispose la sua trasformazione in caposaldo; successivamente prese la decisione di uscire dal blocco affidandone il compito a due scaglioni costretti a sostenere un combattimento che si protrasse a lungo, con fasi alterne. Fu grazie al fuoco dei cannoni dell’8° artiglieria, all’azione dei lanciafiamme e dei mezzi corazzati tedeschi se la colonna verso le ore 23 del giorno 20 poté lasciare Šapilov e giungere a Ol'hovskj dove, però, fu costretta allo scontro, risolto favorevolmente. Lasciato alle spalle l’abitato, la ritirata riprese. In questa circostanza un’aliquota della Pasubio, distaccatasi dal grosso per prendere un’altra direzione, venne assalita e in parte annientata.
Giunta a V.Makeevka, alla colonna del Blocco Sud si unirono il Comando del XXIX Corpo d’Armata tedesco e quello delle Divisioni Sforzesca e Celere. Da questo momento le vicende del Comando della Pasubio sono strettamente legate a quelle dei due Comandi unitisi. Infatti a V.Makeevka il giorno 21 si diede vita al reggimento di formazione Mazzocchi, composto da tutti gli elementi che durante il ripiegamento si erano dispersi, appartenenti a ben ventidue reparti. Il reggimento venne suddiviso in tre battaglioni, il I chiamato Pasubio, il II Celere e il III Sforzesca. Si trattava però di uomini stanchi per le lunghe marce compiute di notte, a 40° sottozero, denutriti, demoralizzati.
Il lungo, drammatico, peregrinare del Blocco Sud attraverso la steppa gelata terminò a Forštadt-Belaja Kalitva sul Donec il giorno 2 gennaio 1943.
(testi tratti da A. Rati “LA FULGIDA EPOPEA DELLA DIVISIONE PASUBIO”, Ed. Sometti, Mantova, 2012)