Raccolta e riordino

(Febbraio 1943)

Le operazioni di raccolta e di riordino dei militari della Pasubio, logorati dalle battaglie difensive del Don e dalla susseguente dolorosa ritirata, cominciarono non appena raggiunta la zona di Verovka, in Ucraina, tra gli abbracci fraterni e commossi degli scampati che non riuscivano però a nascondere la pena profonda per i vuoti che, col passare del tempo, rimanevano sempre più senza speranza.
La responsabilità delle operazioni venne affidata al Ten. Col. Chiari, ritornato a fine gennaio in Russia dopo un breve periodo trascorso in Italia. Ufficiale stimato e molto apprezzato, era tornato in Russia per sostituire il Col. Casassa colpito da grave congelamento e urgentemente rimpatriato e ricoverato in ospedale. Anche il Gen. Boselli, che aveva quasi perduto la vista, verrà ricoverato in ospedale e sostituito interinalmente dal Gen. Gandini e successivamente, dall’11 febbraio, dal Col. Mazzocchi.
Il primo ordine del giorno con la riorganizzazione della Divisione porta la data del 5 febbraio.
Quindi da Verovka, a piedi, i militari della Pasubio vennero portati a Jasinovataja dove, poiché gli avvenimenti al fronte precipitavano e l’avanzata russa si era fatta più incalzante, fu possibile usufruire di un treno tedesco su pianali merci ed arrivare a Kalmova. Il 1° febbraio, su autocarri, venne raggiunta la località di Dnepropetrovsk, quindi Kiev, ed infine gli scampati, dopo un’ultima marcia di 36 km, con le poche cose salvate, semicongelati, con una coperta sulla testa o sulle spalle, poterono arrivare a Gomel’ e da qui iniziò il tanto sospirato rientro in Patria. Era il 17 febbraio 1943.

(testi tratti da:
Rati A. “LA FULGIDA EPOPEA DELLA DIVISIONE PASUBIO”, Ed. Sometti, Mantova, 2012
Rati A. “L’80 FANTERIA, la lunga storia eroica si un reggimento mantovano diventata leggenda”, Ed. Sometti, Mantova, 2005)

I prigionieri

(Febbraio 1943)

I prigionieri che in gennaio avevano riempito le rudimentali strutture dei campi di smistamento di Tambov e Uciostoe avevano molto velocemente iniziato a svuotarle, morendo di fame, freddo, dissenteria, ferite e cancrene non curate, e le loro salme venivano quotidianamente portate nelle fosse comuni scavate nella foresta di Rada e nei boschi di Mičurinsk. Occorreva però ancora più spazio in quei campi, poiché stavano per arrivare gli alpini catturati nella seconda metà di gennaio ed erano tanti.
I pochi sopravvissuti tra i prigionieri delle Divisioni di Fanteria, catturati a dicembre, vennero quindi istradati verso altri campi e nei campi-ospedale, dislocati sia nella Russia europea che nell’asiatica: in base alle testimonianze dei rimpatriati ed alla documentazione fornita nei primi anni Novanta dagli archivi russi, i campidove furono rinchiusi i nostri prigionieri sono stati 270 e circa 200 gli ospedali.
Anche in questi campi vi fu nei primi mesi una grande moria, dovuta soprattutto alla denutrizione ed al freddo; con l’arrivo dei superstiti dai campi di smistamento, con i germi del tifo petecchiale, si aggiunse la spaventosa mortalità dovuta al tifo.

In questa circostanza venne fatta la prima divisione tra militari di truppa ed ufficiali.
Gli ufficiali ebbero in gran parte come destinazione i campi di Oranki e Suzdal’.

Il campo di Oranki era situato in un antico monastero che era stato trasformato in carcere e nel 1942 in campo di prigionia.
Racconta il S.Ten. Medico ENRICO REGINATO nel suo libro “12 ANNI DI PRIGIONIA IN URSS”: “… nel periodo trascorso tra le mura di Oranki, vidi entrare migliaia di prigionieri ed uscire migliaia di cadaveri …. Ad Oranki la moria infieriva. Le privazioni, la scarsa alimentazione, il clima, la carenza di misure igieniche, la penuria di medicinali, favorivano lo sviluppo delle malattie consuntive …. Il 18 febbraio 1943 arrivò ad Oranki il primo scaglione dei superstiti delle Divisioni Torino e Pasubio Il lungo viaggio e le infinite sofferenze li avevano estremamente indeboliti. Già la prima sera molti di essi, proprio quando credevano di avere trovato il porto della salvezza, crollarono per subitaneo collasso.
Poi esplose violentissimo il tifo petecchiale e fu la fine per moltissimi prigionieri.

Suzdal’ è una antichissima città-museo, ricca di bellissimi monasteri. Tra questi il Monastero del Salvatore-Sant’Eutimio (XIV secolo), residenza di monaci, poi diventato prigione di stato e successivamente campo di prigionia di guerra per ufficiali.
Nei primi mesi del 1943 vi erano tuttavia reclusi soprattutto militari di truppa ed in questi mesi, come per tutti i campi, fu registrato il più alto numero di decessi.
A partire dall’autunno 1943 fu radunata in questo campo la maggior parte degli ufficiali italiani sopravvissuti alla precedente prigionia in altri campi, insieme ad ufficiali di altre nazionalità. Vi rimasero fino alla primavera 1946.

La mortalità nei campi riferita al solo mese di febbraio 1943 fu pari al 20% dei decessi totali del periodo gennaio/giugno 1943. In questa fase nei campi era iniziato il censimento dei prigionieri.

(testi tratti da U.N.I.R.R. “RAPPORTO SUI PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI IN RUSSIA”, Ed. Fratelli Crespi Industria Grafica Srl, Cassano Magnago, 1995)