ARBUSOV la Valle della Morte

Russia (22-24 dicembre 1942)


Oggi, 22 dicembre 2022, a 80 anni esatti dalla battaglia più cruenta affrontata dal XXXV Corpo d’Armata di cui la
Pasubio faceva parte, vogliamo ricordare con particolare emozione i tantissimi nostri padri, zii, nonni, fratelli, cugini, che 80 anni fa in quella valle hanno perso la vita, sono stati feriti, sono stati catturati dall’Armata Rossa.

Lo facciamo attraverso la testimonianza del reduce Eugenio CORTI, sottotenente del 30° Artiglieria di Corpo d’Armata – reparto alle dipendenze della Pasubio – tratta dal suo libro I PIÚ NON RITORNANO (Mursia Editore SpA, Milano, 1993). La prima pubblicazione del libro risale al 1947.

Eravamo all’inizio del paese di ARBUSOV, il terribile luogo che resterà vivo nel ricordo dei superstiti del XXXV Corpo d’Armata col nome di “Valle della Morte”.

Pochi in Italia lo hanno sentito nominare. Eppure qui ci fu un tale orrore di guerra, quale forse in nessun altro dei luoghi più tristemente noti dell’ultimo conflitto mondiale.

Ne abbiamo riferito soltanto noi scampati. Così avviene tra gli uomini: che siano assai note cose anche di scarsa importanza, di cui per un insieme di circostanze molto si sia parlato, e ne restino invece pressoché sconosciute altre d’importanza oggettiva enorme.

Anche per questo oggi scrivo: per far conoscere a tutti il vostro sacrificio, migliaia di fratelli rimasti senza vita in quel terrificante squallore.

In paese gli italiani continuavano ad ammassarsi in schiere sempre più grandi. Stavano preparando attacchi alla baionetta in ogni direzione, per allargare il cerchio nemico che ci obbligava ferocemente in uno spazio ristretto nel quale troppi dei colpi facevano vittime. E presto gli attacchi si sferrarono a ventaglio in tutte le direzioni, sotto il cielo caliginoso.

In tutta la vallata il frastuono dei combattimenti andava allargandosi e facendosi sempre più intenso. Anche noi ci buttammo avanti.

Non tutti parteciparono agli attacchi. I più, anzi, rimasero in paese, masse scure continuamente in moto e sbandantisi continuamente sotto i colpi di mortaio e di cannone russi. Ciononostante quel giorno il nemico venne dovunque travolto, e le nostre postazioni coronarono nel pomeriggio tutta la vallata in cui era Arbusov. Fu l’ultima grande visione di eroismo italiano.

C’erano morti e morti, e morti dappertutto: italiani, russi, poi ancora italiani e italiani. Qua e là, accasciato o seduto nella neve, qualche ferito agli estremi invocava sua madre, oppure urlava per il dolore. Altri feriti avevano il viso segnato più che dalla sofferenza fisica, dall’ansia per ciò che adesso sarebbe accaduto di loro: erano infatti rimasti menomati combattendo per tutti, ma nessuno ora li avrebbe potuti aiutare.

I feriti erano numerosissimi. Sentivamo con angoscia che non li avremmo potuti curare: erano tutti o quasi destinati a morire nel giro di poche decine di ore. Si erano formati alcuni posti di medicazione. I feriti erano addirittura uno sull’altro: si sentivano i loro lamenti e le loro grida, così piccole nel gelo tremendo. Mescolati ai feriti c’erano dei morti: era difficile distinguerli dai vivi, perché gli uni e gli altri presentavano la stessa immobilità. In questo golfo di dolore si aggirava un unico medico, che eseguiva le amputazioni mediante lamette da barba.

Camminavo in mezzo ad una distesa di morti. C’era da invidiarli: nella loro rigidità di blocchi di ghiaccio, non sentivano più lo strazio della lotta contro il freddo.

Durante quel giorno le katiusce fecero una delle loro maggiori stragi. Ogni venti o trenta minuti si sentiva il caratteristico soffio dei razzi in arrivo, e si vedevano aprirsi una dopo l’altra, fulminee, le fumate cenerine degli scoppi. Batterono con particolare insistenza la fila di isbe che collegava l’agglomerato maggiore di Arbusov al minore. Alcune di tali isbe presero fuoco.

CORTI riuscì ad abbandonare la Valle della Morte e a raggiungere Čertkovo. Questo il suo ricordo allontanandosi.

Da Arbusov, ormai lontana, giungevano rumori di un combattimento disperato.

Lasciammo la Valle della Morte: il paese era semidistrutto e molti civili erano stati uccisi nella battaglia. Ci lasciavamo indietro una vallata disseminata di morti, gli italiani di gran lunga i più numerosi: uccisi dal bombardamento nemico, o caduti a ondate negli assalti alla baionetta, morti per gli stenti, morti di freddo. Pensiero ancora più angosciante delle migliaia di morti, le centinaia e centinaia di feriti abbandonati sopra la neve, su poca paglia.

Appresi inoltre che molti feriti, a stento capaci di reggersi, avevano disperatamente cercato di seguire la colonna, cosicché all’uscita da Arbusov il percorso era, per un chilometro o due, disseminato di disgraziati non più in grado di proseguire. Chissà quale sorte hanno avuto…