L'avanzata al Donec
Terminata la brillante manovra di Petrikovka la Pasubio sostò per alcuni giorni nella zona occupata, in grave difficoltà per ottenere rifornimenti di cibo. Ricevuti gli autocarri, il mattino del 4 ottobre riprese a muovere verso est, sotto un cielo molto nuvoloso, un forte vento e con una temperatura già sotto lo zero, con gli uomini senza neppure uno straccio invernale che battevano i denti. Mosse con il compito non facile di affiancarsi nella manovra a unità tedesche celeri e moderne; non facile per la difficoltà dei rifornimenti, dato che dalla fine di settembre in poi quelli forniti dai tedeschi erano divenuti sempre più saltuari ed il C.S.I.R. era costretto a ricorrere sempre più largamente alla madre-patria.
La Divisione, rinforzata dalla compagnia bersaglieri motociclisti e da un battaglione della 63a Legione CC.NN., aveva un duplice compito: il primo andare ad assestarsi sul fiume Volč’a per dare protezione al fianco sinistro delle Unità corazzate del gruppo Kleist che procedevano verso il basso Dnepr con l’intento di accerchiare la 9aArmata sovietica; il secondo concorrere all’occupazione del Donbass, l’importante bacino industriale del Donec.
Prioritario e urgente divenne l’annientamento della pericolosa testa di ponte di Pavlograd, poiché si trattava di un centro importante posto alla confluenza tra i fiumi Volč’a e Samara. L’attacco all’abitato, difeso da fortificazioni campali, da un fosso anticarro, da reticolati e vasti campi minati, scattò all’alba dell’11 ottobre, una giornata fredda, dalla pioggia incessante e dal forte vento. Avanzando a fatica mimetizzati tra gli steli dei girasoli ormai appassiti, riuscirono alla fine a superare le resistenze nemiche, eliminando la testa di ponte di Pavlograd e respingendo il nemico oltre il Volč’a.
A presidiare Pavlograd venne mandato inizialmente il III/80°, quindi il I e II/79° con il I gruppo dell’8° artiglieria, tutti uomini provati, da giorni senza viveri, a digiuno. Fu con il possesso di Pavlograd che lo schieramento della Pasubio sul Volč’a poté estendersi dal Samara all’abitato di Ul’anivka. Quest’ultimo costituiva una testa di ponte nemica, protetta da campi di mine, che l’8 ottobre il XX battaglione bersaglieri, con un’azione decisa e di sorpresa, eliminò consentendo così l’attestamento sul fiume dell’intero 3° bersaglieri e creando nel contempo le premesse per la conquista del Donbass.
Mentre la Pasubio con i suoi reggimenti si attestava sul Volč’a, i sovietici iniziarono a ripiegare su tutta la linea del fronte, protetti da retroguardie, attuando la vecchia strategia, quella dei tempi di Napoleone: ritirarsi facendo “terra bruciata” per contrastare l’avanzata del nemico, in attesa del momento propizio per riprendere la propria libertà d’azione. L’inverno intanto avanzava a grandi passi. Le strade diventavano solchi amorfi in cui il fango dominava e le ruote degli automezzi si impantanavano in una morsa paralizzatrice, tale da impedire il regolare funzionamento della branca logistica.
Il 14 ottobre il Gen. Messe ordinava all’intero C.S.I.R. di riprendere l’avanzata, procedendo verso est alla conquista del Donbass e di Stalino (il suo principale centro, dominato dalla grande statua di Stalin), spingendo il più possibile in avanti i plotoni esploratori in modo da facilitare la progressione dei reggimenti. Questo fu il motivo che portò alla costituzione della Colonna che prenderà poi il nome del Col. Chiaramonti, inizialmente formata dal II/79° e dal III/80°, rinforzati dalla 9a batteria dell’8° artiglieria.
Seguirono giorni di marcia estenuante e di avanzata faticosa. Il 19 ottobre la colonna si scontrava vicino all’abitato di Grodovka con un consistente nucleo di forze avversarie che venne costretto alla ritirata. Il giorno dopo venne occupata la stazione di Grišino e verso sera la Chiaramonti era a Krasnoarmejsk.
Lo stesso giorno 20 toccò ai bersaglieri del XX battaglione impadronirsi con slancio del nodo ferroviario di Stalino, il cui centro sarà invece raggiunto dagli alpini tedeschi. Con l’occupazione di Stalino, un centro minerario ricco di ferro e carbone, si chiudeva la prima fase delle operazioni per la conquista del Donbass. I soldati della Pasubio e della Celere concludevano il loro profondo sbalzo di 350 km. Un percorso duramente segnato da combattimenti sempre intensi ed accaniti, dal superamento di campi minati, da distruzioni, da interruzioni di ferrovie e di ponti, oltre che da condizioni atmosferiche particolarmente avverse.
Il Gen. Messe faceva pervenire al Gen. Giovanelli il suo messaggio: <<Sono certo che l’elogio che la Divisione Pasubio e la Colonna Chiaramonti hanno meritato, li trova oggi sempre in piedi, pronti a marciare e combattere se sarà necessario>>.
Con la conquista di Stalino però le operazioni non potevano essere considerate concluse. Bisognava conseguire altri importanti traguardi, rappresentati dai centri minerari e industriali di Gorlovka e Rykovo e della stazione di Trudovaja, sbocco del grande oleodotto del Mar Caspio.
Per questo motivo fu necessario chiedere alle truppe del C.S.I.R. un ulteriore sforzo bellico. Lo pretese il Gen. Messe il 22 ottobre, ordinando alla Celere di procedere all’occupazione delle zone di Rykowo-Gorlovka-Nikitovka ed alla Colonna Chiaramonti della Pasubio di proseguire il proprio movimento verso est per impossessarsi dell’abitato di Šelesnoe. La Torino doveva proseguire a piedi verso Stalino e lo farà tra indicibili fatiche e privazioni.
La Chiaramonti iniziava la sua marcia il giorno 24. Giungendo alle prime case di Šelesnoe urtava contro una accanita resistenza dei russi ben armati e sostenuti da pezzi d’artiglieria. Fu l’inizio di un combattimento che si frazionerà in numerosi episodi dei quali i principali protagonisti divennero i plotoni esploratori della colonna. Due giorni dopo gli scontri si estesero all’interno dell’abitato, che il Col. Chiaramonti decise di occupare con un’azione rapida e risolutiva. Azione che durò quattro giorni e costò la perdita del S.Ten. Mario Zambelli e di 30 soldati (tra loro il serg.magg. Guglielmo Maffezzoli), oltre che il ferimento di un ufficiale e di 72 soldati. I feriti furono amorevolmente curati dall’ufficiale medico Aldo Ruggerini, un mantovano, in una buia tenda del campo di battaglia, alla presenza del cappellano Don Traversa, che infondeva coraggio ai pazienti.
I soldati della Pasubio entrarono in Šelesnoe il 28 ottobre, sotto lo sguardo pavido e meravigliato degli abitanti rimasti.
(testi tratti da A. Rati “LA FULGIDA EPOPEA DELLA DIVISIONE PASUBIO”, Ed. Sometti, Mantova, 2012)